ADI

L’Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani (ADI), costituita nel 1998, è l’organizzazione di rappresentanza sociale dei dottorandi e dei dottori di ricerca italiani. L’ADI s’impegna a tutelare ed estendere i diritti dei dottorandi e dei giovani ricercatori e a promuovere il titolo di Dottore di Ricerca. L’ADI non ha fini di lucro ed è fatta da dottorandi e da dottori di ricerca che dedicano in maniera volontaria e non retribuita il proprio tempo per migliorare le condizioni di vita e di ricerca di tutti. L’ADI è indipendente dai partiti e dalle organizzazioni sindacali e autonoma nell’elaborazione e nell’attuazione delle sue politiche. L’ADI riconosce come suoi referenti sociali i dottorandi e i giovani ricercatori. L’ADI promuove la libera circolazione dei saperi e la loro dimensione pubblica al servizio di tutti i cittadini. L’ADI crede che la ricerca scientifica debba essere strumento di comprensione del mondo e di progresso umano. L’ADI si impegna nella costruzione di una rete europea di dibattito e di rappresentanza dei dottorandi e dei giovani ricercatori. A tal fine fa parte di EURODOC.

martedì 19 aprile 2011

ADI Napoli in piazza con i precari!

Il 9 Aprile si è mossa per le vie del centro storico la manifestazione contro il precariato "Il nostro tempo è adesso". ADI Napoli ha partecipato per far sentire la voce di tutti i precari della ricerca, dai Dottorandi con e senza borsa, ai Dottori di ricerca titolari di borse post-doc ed assegni di ricerca che vivono nel difficile mondo del post-laurea. Vi riportiamo qui sotto l'intervento di Gianni Criscione, nostro socio e neo-eletto consigliere nel direttivo di ADI Napoli, che ha deciso di condividere la sua esperienza di dottorando senza borsa:

Sono uno dei tantissimi dottorandi dell’Università italiana, cioè a metà strada tra lo studente universitario e il ricercatore. Il dottorato di ricerca infatti è la fase più avanzata della formazione pubblica ed è la prima in cui si fa vera e propria ricerca.

In un periodo di 3 anni, pur dovendo seguire conferenze, seminari e corsi, dovrei, anzi, devo approntare un progetto di ricerca originale capace di portare una novità nel mio settore di studi. Inoltre, alcuni Atenei prevedono esplicitamente che il dottorando possa tenere corsi universitari, fare esami, seguire laureandi ecc. In altri Atenei invece questa possibilità non è nemmeno nel contratto firmato, così che i dottorandi che tengono corsi o seminari sono dei veri e propri abusivi.

Io, dottorando senza borsa, sono in sostanza quello “un po’ più sfigato”, il brutto anatroccolo della famiglia universitaria. La legge italiana infatti attualmente permette ai singoli Atenei di bandire concorsi per dottorandi ma permette anche che non tutti i posti disponibili siano coperti da borsa di studio. L’importante è che coloro che percepiscono la borsa di studio non siano numericamente inferiori a quelli senza borsa.

Per legge non riceverò in tre anni per la mia ricerca nemmeno un euro. Zero. Ma non solo non percepisco un euro, devo anche pagare le tasse universitarie, che in alcuni Atenei campani ammontano a 1500euro.
Questo significa che tra me e i miei colleghi borsisti, per lo stesso lavoro, ci sono 2000euro di differenza, dato che i borsisti ricevono dall’Ateneo circa 1000euro al mese.
In più c’è il fatto che sono fuori sede. Ogni volta che devo andare all’università significa che devo spendere soldi per i trasporti pubblici, che di questi tempi tra l’altro hanno subito notevoli rincari. Il mio Unico Campania, fascia 4, è passato da 2,90 a 3euro e 40 centesimi. Un euro in più ogni volta che vado a Napoli.
A questi costi si devono aggiungere, inoltre, quelli che effettuo per recarmi negli archivi storici, a Caserta, a Napoli, a Roma, dove conduco le mie ricerche. Ed ovviamente tutto a mie spese.
È evidente che non ricevendo nemmeno un minimo rimborso, anche se per la mia ricerca fanno una importantissima conferenza in qualche altra università, in Italia o all’estero, non la prendo neanche in considerazione.

Dunque, riassumendo, in questi tre anni non riceverò un euro dall’Università per cui lavoro. E dunque da questo punto di vista la mia non è precarietà, bensì la mia condizione è assolutamente stabile estabilizzata. Zero euro in 3 anni di lavoro. Più stabile di così si muore. 
In un Paese normale dopo aver vinto un concorso avrei dovuto gioire. Ed in effetti almeno nei primi giorni ero felicissimo di aver superato quella prova. Mi sentivo orgoglioso per il mio risultato, anche se sapevo di non poter ricevere nemmeno un minimo rimborso spese. Però, mi sono detto, ne vale la pena. Il mio sarà un investimento sul futuro. Almeno con questa specializzazione potrò essere finalmente competitivo sul mercato.
La mia generazione è pronta a fare sacrifici per un futuro migliore e meno precario!
Per ora invece mi tocca la mia precarietà. Anzi la mia “sicurezza” di guadagnare zero euro. Almeno ufficialmente. Perché non è realistico che dopo la laurea sia ancora a carico della mia famiglia. E allora devo barcamenarmi tra più lavori: a volte due, a volte tre contemporaneamente, con la logica conseguenza di non potermi concentrare sulla mia ricerca. Ma tant’è. Allora mi tocca fare lezioni private, il cameriere, e vari lavoretti saltuari. Un vero lavoro alternativo infatti sarebbe dura da poter portare avanti insieme al dottorato. Così mi ritrovo magari delle giornate in cui, fino alle 17 sono in archivio, dove faccio le mie ricerche su documenti di inizio ‘900 e dalle 18 sono in camicia bianca in una sala di qualche ristorante a fare il cameriere. Questo e altro per fare un po’ di cassa visto che non sono e non voglio essere accomunato ai bamboccioni di cui tanto si è parlato qualche tempo fa.
È più che ovvio che con questo ritmo devo fare i salti mortali per portare avanti il lavoro. Per avere il tempo di scrivere la tesi di dottorato, specialmente quando ho dei corsi obbligatori da seguire e di sera devo andare a lavorare, mi tocca studiare, leggere ed aggiornarmi magari in treno mentre torno a casa. Le giornate dovrebbero durare molto più delle 24 ore abituali.
I tagli che la riforma Gelmini-Tremonti ha perpetrato rendono per noi giovani studiosi molto difficile l’ingresso stabile nell’università. Basta ricordare solo l’eliminazione della figura delricercatore con contratto a tempo indeterminato. Mentre è recente la notizia che è stato eliminato anche l’obbligo per gli Atenei di bandire posti di dottorato senza borsa in pari numero di quelli con borsa. Si potrà verificare in futuro che i singoli atenei, specialmente quelli in cui i senza borsa devono pagare le tasse universitarie, bandiscano solo dottorati non coperti da borsa.

Oggi mi chiedo a che serve un titolo di dottorato, un così alto livello di specializzazione se poi non potrò spendere le mie capacità e la mia formazione per un lavoro futuro. Ho investito tanti soldi per poi ritrovarmi fuori dal mia ambito di studio e magari espulso dal mondo della ricerca, che è il naturale proseguimento del dottorato. E allora mi chiedo anche quanto siano reali quegli appelli alle specializzazioni. Perché dovrei specializzarmi in un ambito che poi non mi dà sbocchi per programmarmi un presente ed un futuro migliore, dato che dopo il dottorato non c’è nulla?



L’unico sbocco sembrerebbe partire, andare all’estero, dove il titolo di dottorato è ancora spendibile. Ma questo conviene all’università? Conviene all’Italia? Conviene spendere tanto per la formazione di studiosi che finalmente potrebbero ora ripagare, anche in termini economici, gli Atenei o le aziende che per rimanere competitive sul mercato investono sulla ricerca? Investire nella ricerca è l’unica speranza di una Nazione. Lo si dovrebbe fare ancor di più nei momenti di crisi ed invece questi tagli ci portano in una direzione opposta.

Credo però utile e necessario ribadire che queste non sono solo mie perplessità. Non sono solo davanti a questa tragica situazione. Nelle mie condizioni si trovano tantissimi colleghi ed è con loro che combattiamo per riaffermare dei diritti che ci vogliono togliere. Il diritto ad essere riconosciuti professionalmente ed economicamente. Con l’Adi, l’Associazione dei dottorandi e giovani ricercatori, si è riuscito infatti a far arrivare il compenso dei dottorandi a mille euro ed ora lottiamo, tra le altre cose, per il superamento del dottorato senza borsa.

Chiedo e chiediamo un riconoscimento volto alla stabilizzazione del nostro presente. Pretendo e pretendiamo che si investa seriamente su di noi. Vogliamo l’opportunità di poter sognare una vita diversa. Vogliamo l’opportunità di organizzare il nostro futuro.

Un ultimo appello. È una citazione dell'unico vero signor B.: «non si può rinunciare alla lotta per cambiare ciò che non va. Il difficile, certo, è stare in mezzo alla mischia mantenendo fermo un ideale e non lasciandosi invischiare negli aspetti più o meno deteriori che vi sono in ogni battaglia. Ma alternative [alla lotta] non ne esistono». Enrico Berlinguer



Ed ecco a voi il video dell'intervento di Gianni dal palco di Piazza del Gesù.

Questo è invece il servizio di Repubblica TV sulla manifestazione con l'intervista ad Alfonso Gentile, nostro Rappresentante di Sede in Consiglio Nazionale.

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